Il Pane

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Prodotto tipico e rinomato della Citta’ dei Sassi è il Pane di Matera, che oggi vanta l’IGP. Il pane di Matera è il pane ottenuto con un antico processo di lavorazione, adottato dai panificatori della provincia di Matera, che prevede l’utilizzo esclusivo di semola di grano duro, acqua, sale e lievito madre, non contiene grassi e ovviamente neppure miglioratori.
Caratteristiche:
forma a cornetto o comunque pagnotta alta; da 1 o 2 Kg; crosta di almeno 3 mm dal bellissimo colore marrone caldo più o meno bruno, a seconda dei gradi di cottura; mollica colore giallo paglierino con tipica alveolazione; umidità non superiore al 33%.
Valori Nutrizionali:
Valore energetico 1229 Kjoule / 291 Kcal
Proteine g 8,1
Lipidi g 0,4
Carboidrati disponibili g 65,8

Una precisazione in merito all’utilizzo del lievito. Il pane di Matera è preggiato perché nella maggior parte della sua produzione viene usato il lievito naturale più comunemente chiamato Lievito Madre o lievito naturale che è un impasto di farina e acqua acidificato da un complesso di lieviti e batteri lattici che sono in grado di avviare la fermentazione. A causa dei tempi di lavorazione più lunghi, gli enzimi che partecipano al processo di lievitazione lo rendono più sano e digeribile. Il pane prodotto con la pasta madre, inoltre, si conserva più a lungo rispetto a quello ottenuto col lievito di birra.


Da secoli il Pane a Matera è al centro della vita della popolazione e costituisce ancora oggi l’elemento “sacro” della tavola e un bene insostituibile. Fino alla fine del 1950 sul pane le famiglie materane imprimevano con un timbro in legno, sulla pasta da infornare, il proprio marchio per riconoscerlo dopo la cottura. Oggi numerosi timbri del Pane di Matera sono conservati ed esposti presso il Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola a Matera. I fattori determinanti del nostro pane sono:  il metodo di lavorazione, ma allo stesso tempo la qualità del grano e le condizioni climatiche. La raccolta dei cereali nel Materano avviene generalmente nel periodo tra la metà di Giugno e i primi di Luglio, quando oramai il grano è maturo, asciutto e pronto per essere trasportato al mulino per la trasformazione in farina. La farina di grano duro è sicuramente una peculiarità delle nostre zone infatti è molto utilizzato per la produzione di numerosi beni di consumo come il pane e la pasta. Soprattutto in passato Matera è stato uno dei centri di produzione e lavorazione di grano duro più importanti d’Italia (erano numerosissimi i mulini e i pastifici presenti in città). I mulini provvedevano a immagazzinare i raccolti dei contadini di tutto il materano e delle zone limitrofe, e lo vendevano alle famiglie, ai fornai e alle aziende durante tutto l’anno. Il pane in passato era prodotto nella maggior parte dei casi dalle stesse famiglie e, nonostante la scomparsa di alcune usanze, ha mantenuto nel corso degli anni il suo sapore particolare. I forni, erano tutti a legna e distribuiti nei Rioni Sassi e anche nella parte superiore della città.

La preparazione del pane aveva inizio la sera del giorno precedente. Il più delle volte il lievito (“u lvet“), ottenuto dall’impasto, veniva messo da parte e conservato avvolto in una coperta per mantenerlo al caldo, per poi passarlo di famiglia in famiglia.

L’impasto era caratterizzato dal movimento delle mani a pugno chiuso (questo movimento in dialetto è chiamato (“trmbè“) nel cercare di amalgamare il più possibile la farina e l’acqua fino a farlo diventare un agglomerato unico su un tavoliere di legno massello. Terminato l’impasto la massa (“la moss“) veniva tagliata in tante porzioni pressochè uguali e uno più piccolo. Ogni pezzo veniva ulteriormente lavorato e, infine, dopo l’infarinatura finale, venivano fatti su ogni pezzo dei tagli di coltello trasversali e incrociati. I pezzi di pane pesavano da tre a quattro chili ed erano generalmente 3 di dimensioni uguali e uno più piccolo (“tre pjzz e n pzzarid“), poi ogni famiglia incideva sul pane il timbro con l’iniziale del capo famiglia. I pezzi venivano allineati su di una tavola lunga e stretta di forma rettangolare appoggiata su due sedie, e avvolti in una coperta per mantenerli al caldo.Successivamente, all’orario prestabilito, veniva prelevato e trasportato su un carretto e quindi al forno. Quando il forno era pronto, cioè quando era riscaldato dal fuoco degli arbusti (“la frosch“), il fornaio avvicinata la tavola del pane, prelevava i pezzi impastati con una lunga pala in legno e lo adagiava sul fondale del forno in ordine. Passata circa un’ora il fornaio valutava il punto di cottura del pane, e successivamente procedeva nell’estrarre i pezzi dall’interno del forno e li riposizionava sulla tavola d’appartenenza per poi essere consegnato alle famiglie.Il pane aveva una crosta croccante e di spessore (“scherzdupen“), mentre all’interno una soffice mollica (“mddjch“) assumeva un colore giallo proprio come un pan di spagna. Il pane durava di solito una settimana circa, o addirittura una decina di giorni, e si manteneva ancora in uno stato ottimo per poterlo gustare. Quando il pane diventava più duro non lo si buttava, anzi, lo si “riciclava” in cucina per fare la cialda calda (“cialleddcoll“) d’inverno e quella fresca (“cialleddafradd”) d’estate. L’importante era non buttare mai il pane.


Il pane di Matera, con il suo sistema di lavorazione, ha una lunghissima tradizione risalente al Regno di Napoli. È da sempre alimento tipico del territorio materano, tradizionale zona di coltivazione di cereali, come risulta anche da diverse testimonianze artistiche e letterarie che attestano l’importanza ed il culto del pane nella vita e nell’economia di tutto il territori.


Approfondimenti

Produzione e cottura: Il Pane di Matera è prodotto esclusivamente con semola di grano duro rimacinata, viene impastato con lievito madre e/o lievito di birra, lavorato meccanicamente in impastatrice per circa mezz’ora e lasciato riposare in vasca coperto da teli di lana o cotone (a seconda della temperatura esterna), per 25 – 35 minuti. Trascorso questo tempo l’impasto viene tagliato in preforme per ottenere le pezzature volute. Si calcola circa il 20% in più di peso rispetto a quello finale, questo è il coefficente di umidità solitamente persa durante la cottura, quindi per ottenere un pezzo da un chilogrammo si andrà a tagliare una preforma da 1,2 kg. Questi pezzi di impasto vengono sotto posti a duna prima modellatura e lasciati riposare coperti da un telo di cotone in cassette di legno per ancora un’oretta. Appena prima di essere infornate le panelle vengono definitivamente modellate secondo il formato richiesto, cornetto o alto. Successivamente le panelle vengono cotte in forni a gas o a legna rispettivamente per un’ora e mezza o per due ore (tempo necessario per cuocere pezzature da un chilogrammo; per il formato da due chilogrammi invece sono necessarie due ore per cottura a gas o due ore e mezza per la cottura a legna). In entrambe le cotture, sia a legna che a gas, dopo rispettivamente un’ora e mezza e un ora di cottura, si lascia uscire il vapore accumulato a prendo il portellone in ferro o le valvole e si prosegue così la cottura per un’ altra mezz’ora.

Il lievito madre: Il lievito naturale, chiamato anche lievito acido, pasta acida, lievito madre, pasta madre e crescente, è un impasto di farina e acqua acidificato da un complesso di lieviti e batteri lattici che sono in grado di avviare la fermentazione e consente una maggiore crescita del prodotto e quindi una maggiore digeribilità e conservabilità. La preparazione classica del lievito naturale comincia da un impasto acido spontaneo ottenuto con la lievitazione che, per opera dei microrganismi naturalmente presenti nella farina, nell’acqua e nell’ambiente, si innesca in un normale impasto di farina e acqua lasciato acidificare spontaneamente (cioè a riposare senza lievito) in un tempo più o meno lungo. Per accelerare la fermentazione si possono aggiungere all’impasto anche altri ingredienti: lieviti, batteri lattici esogeni e zuccheri che sono il cibo dei lieviti, come frutta. In particolare sulla superficie di molti frutti si forma la pruina, che contiene tra l’altro Saccharomycescerevisiae.La frutta più utilizzata è quella che contiene più polpa,si può utilizzare la mela,ilcaco,ma per una migliore resa si utilizza l’albicocca. Questo metodo dà origine ad uno sviluppo caotico di varie specie microbiche, anche patogene, che vengono spontaneamente selezionate con l’aumentare dell’acidità dell’impasto e la diminuzione del contenuto di ossigeno e zuccheri. Normalmente vengono inattivati gli organismi indesiderati, sviluppati lieviti e batteri lattici, ma la microflora variabile spesso non gli permette di conservare a lungo le sue caratteristiche. Attraverso opportune lavorazioni, ovvero successivi rimpasti con altra acqua e farina in dosi adeguate alle caratteristiche della pasta, l’impasto acido spontaneo può divenire una pasta madre, che è il lievito naturale a tutti gli effetti.La pasta madre ha microflora selezionata ed equilibrio stabile tra lieviti e batteri. Una volta ottenuta, la pasta madre viene tenuta in vita e riprodotta per mezzo di successivi rinfreschi, cioè impasti periodici con determinate quantità di farina fresca e acqua. I microorganismi che la compongono infatti devono essere costantemente nutriti e posti in condizione di riprodursi. La maniera più semplice per tenere in vita la pasta madre è di usarla per fare il pane, separandone una piccola parte prima di aggiungerci il sale.Le peculiari caratteristiche organolettiche, reologiche e fermentative dei lieviti naturali variano in relazione all’area geografica di provenienza, al meccanismo di produzione, a fattori casuali e all’affinamento attuato dal panificatore; possono essere modificate variando i parametri ambientali come temperatura e umidità, o quelli propri dell’impasto come il tasso d’idratazione o il tipo di farina.